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Il Grigio di QUI

year 2005

a cura di Tiziana Musi

Il Grigio di QUI

Ci si arriva in modo normale,

normale per chi passa tante e tante volte con quel fantasma del tempo che ti alita sul collo e ti solleva le piante da terra,

normale nell'urtare con le buste delle signore,

normale nell'incider incedere zigzagante dello sguardo che si trascina via l'immagine di quello strano colore che pregnava quella vetrina,

della forma strana della lettera dell'nnesimo,

identico nella sua infinita diversita', TAG,

normale nel suo apparire in maniera cosi' mmediata in quella piccola piazza, normale in quel portone che passa inosservato come altri anonimamente impressi nella memoria,

eppure il bianco e il nero,

l'rrazionale ordinarieta' resta la' nel fondo inconsapevole della sinistra dell'anima, ma specchiandosi si moltiplica e moltiplicandosi si perde,

per un infinito immobile attimo, su quel ruscello a sinistra di quel bosco di immagini appena passate,

infinitamente breve subito dopo, ma quel subito non ha tempo,

non scorre,

e sei tu che di nuovo scorri trascinato da quel soffio,

ancora forti i riflessi delle colonne che nascondono le scale di questo strano condominio nel quale, forse per sbaglio, mi addentro, primo, K.

Quel grigiore,

la consapevolezza dell'identita' e la tragedia di quella scelta che ogni piano si rinnova eppure solo tre volte che mutano in 3 33 333  non e' possibile contarle, rimandano alle 3 del giorno prima,

quel vuoto quel vuoto di ricordi e' il peso maggiore del lunedi'

la mancanza di centinaia di righe che dal loro grigiore emanano tutti i colori che qualunque mente possa immaginare a fondersi negli occhi esterni in quel tono giusto del bianco e del nero degli scatti,

delle braccia tese di quella tempestosa leggiadria dell'andirivieni tra le sedie verdi,

immagini ancora ripetute,

lievissime differenze percepite solo per gli aliti diversi del vento che incontra plastiche e carte differenti, che e' filtrato in modo diverso dalla trama di diversi vestiti incontrati tra le linee,

vestiti diversi da quella calda ruvidita' che abbaglia il fondo dell'nima e si riflette negli smalti tondi del pavimento,

negli spiragli di luce di banchi tutti diversi e diversamente arredati,

ruvidita' che segna dallo sgabello,

che tende i muscoli non verso il basso della poetica sapienza, ma avanti come il mio corpo mentre sale, inconscio della presenza o meno di quell'sempio docente,

quella voce che anche nel mare apparente di rumore non ha bisogno di quell'artificio grigio per farsi sentire,

qui il grigio e' per tutti quelli che sono fuori, o dentro,

e questo e' il paradosso del design, rendere familiare, grigio, quello che invece brilla,

questo diceva l'esempio oggetto, non comprensibile, non da ascoltare con icanoni comuni,

mentre uscivano sensazioni dalla matita, dalle presenze e il dubbio di sguardi d'intorno,

mentre era impossibile percepire il colore ecco il grigio,

il grigio dell'arredo urbano va letto con il grigio di questo posto,

il grigio delle bizzarre forme della scuola di cui siamo parte,

qui non si insegna, si e' partecipi, si condivide, in silenzio,

in un silenzio grigio da fuori che struscia sulla pelle della mia tuta,

della camicia di quella testa rossa,

del tortuoso copricapo di questo nuovo vecchio compagno,

del saltellare che tocca il naso con gli occhiali di questo assurdo teppista,

in quelle tele sparse e sparse di colori,

tutt'uno con gli anziani del muro e i quasi contemporanei del cotto dei pavimenti,

e grigio, e piu' grigi quei due armadi che insegnano docunt una sapienza gia' tua,

ti svegli,

sei arrivato,

apparente normalita',

melodie gia' udite dei nostri tempi,

ma che forse risuonano nella coda di quel piano visto cosi'poco toccato in modo cosi'grigio,

c'e' un'aria strana per le scale che conducono in questo posto,

un'aria che e' grigia,

il grigio di qui pero'

il grigio di quel bianco e nero che sta su quelle carte, cosi'poco preziose in questo mare dii ricchezze,

una strana le droga ti sostiene nelle successive salite,

forse la ricerca nevrotica, astinenteu' a droga ti porta a percepire inconsapevolmente tutte le pieghe di qu'uella stoffa che ti cinge i fianchi e un infinito minuscolo attimo, che ancor piu' vorresti ridurre, e' la' d aspettarti, nel suo immobilee continuo grigio mutare e allora sai che quella sensazione tattile era solo la prima minuscola fase dell'effetto, mischiato ancora all'apparente normalita',

guardarsi attorno, ed ecco che la senti nell'ria,

la inali,

senza accorgertene non prima di ricevere la sferzata ustionante dell'aria senza grigio che ti attende di nuovo per le scale,

non puoi dire di no,

non puoi non prenderne,

e' una droga che ti arriva da dentro,

e' una reazione allergica,

allergia che solo finche'sei qui e' curata,

ma questo e' l'altro segreto del rumore grigio del design,

questo e' l'nnullamento dello spazio,

del tempo,

questo e' il senso profondo dell'infinita' che serve per muovere quella luce grigia che permea queste stanze, quel grigio che non riesci a non scorgere quando cerchi di nasconderlo uscendo,

quel grigio che brucia tutto cio'che incontri sulle rampe, mentre scendi per lasciarle dormire,

attraverso i bordi delle dita, mentre rallenti con la fittizia normalita',

parlando,

leggendo distratto,

dimenticando, per caso, qualcosa,

e inizia subito il bruciore,

la ricerca di quel latte materno,

di quella madre che hai appena lasciato, ma che continua a tenerti la mano, proteggendola,

perche'non ti bruci la mancanza di grigio che e' qui fuori,

fasciando la tua gola, le tue mani, ogni fibra delle posizioni, uguali,

ma senza quel colore giusto, elettroni che colpiscono gli occhi di nuovo,

ma non riescono a distrarre il grigio che pensa la mia anima.

A domani.

A.B.